La classifica è stata compilata tenendo conto fino a che punto i Paesi si sono spinti nell’adozione di pratiche fiscali nocive, come la scelta di aliquote fiscali nulle sui redditi delle imprese non residenti, la concessione di incentivi fiscali iniqui e improduttivi, la mancanza di collaborazione nei processi internazionali per l’adozione di misure di contrasto all’elusione fiscale.
Molti paesi nella lista sono stati protagonisti di clamorosi scandali fiscali. L’Irlanda, ad esempuio, si è distinta per aver concluso un accordo con Apple in base al quale il gigante di Cupertino ha potuto versare nel paese un’aliquota effettiva pari allo 0,005%. Le Isole Vergini britanniche sono sede di oltre la metà delle 200mila offshore assistite da Mossack Fonseca, lo studio legale al centro dei Panama Papers.
Secondo i calcoli fatti da Oxfam, l’elusione fiscale delle multinazionali costa ai Paesi più poveri almeno 100 miliardi di dollari ogni anno, una cifra sufficiente a mandare a scuola 124 milioni di ragazzi e a coprire le spese sanitarie per salvare la vita di 6 milioni di bambini. Ma questi paradisi, dicono, sono solo la punta dell’iceberg. Perché «il ricorso a pratiche fiscali nocive per attrare investimenti è ampiamente diffuso in molti Paesi del mondo: tra i paesi del G20 l’aliquota sui redditi d’impresa è scesa dal 40% di 25 anni fa a meno del 30% di oggi», dicono. «L’uso di incentivi fiscali iniqui e improduttivi cresce a dismisura, specialmente nei paesi in via di sviluppo, col risultato che il Kenya, per esempio, registra un ammanco erariale di circa 1,1 miliardi di dollari all’anno – quasi il doppio dell’intero budget sanitario nazionale».
E quando gli introiti dalle imposte pagate dalle imprese multinazionali si contraggono drasticamente, spiegano da Oxfam, i governi compensano le perdite ricorrendo al taglio della spesa pubblica o aumentando le tasse sui consumi come l’Iva, contromisure che finiscono per danneggiare i più poveri. Nei Paesi Ocse, ad esempio, il taglio dello 0,8% dell’aliquota sugli utili d’impresa tra il 2007 e il 2014 è stato parzialmente compensato con un aumento medio dell’1,5% dell’aliquota Iva standard tra il 2008 e il 2015.
Secondo i calcoli fatti da Oxfam, l’elusione fiscale delle multinazionali costa ai Paesi più poveri almeno 100 miliardi di dollari ogni anno, una cifra sufficiente a mandare a scuola 124 milioni di ragazzi e a coprire le spese sanitarie per salvare la vita di 6 milioni di bambini
Sia l’Europa che il G20 stanno elaborando le proprie blacklist dei paradisi fiscali per contrastare più efficacemente l’elusione fiscale delle multinazionali. Ma lo stanno facendo senza ricorrere a criteri onnicomprensivi e oggettivi, con il risultato che alcuni Paesi che offrono “rifugio fiscale” alla fine non compaiono nella lista. I criteri adottati dall’Unione Europea, per esempio, rischiano di escludere i Paesi con un’aliquota fiscale sui redditi delle imprese non residenti pari allo zero per cento. In questo caso, le Bermuda – in cima alla classifica Oxfam dei paradisi fiscali societari più aggressivi al mondo – potrebbero non rientrare nella lista nera dell’Ue. E nessun Paese europeo figurerà nella blacklist europea (focalizzata solo sui Paesi terzi), nonostante l’analisi di Oxfam indichi che Irlanda, Paesi Bassi, Lussemburgo e Cipro siano tra i paradisi fiscali societari più aggressivi al mondo.
Fonte: Linkiesta