CGUE SUGLI OBBLIGHI DI ADEGUATA VERIFICA DELLA CLIENTELA

La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza del 17 novembre 2022, n. 562/20, si è pronunciata su sei questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunale amministrativo distrettuale della Lettonia in relazione all’art. 18, par. 1 e 3, in combinato disposto con l’allegato III, punto 3, lett. b), art. 13, par. 1, lett. c) e d), art. 14, par. 5 e art. 60, par. 1 e 2, della direttiva 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio e finanziamento del terrorismo.

Il giudizio celebrato dinanzi al giudice nazionale traeva origine dal ricorso proposto da una società commerciale stabilita in Lettonia, esercente attività di servizi contabili, tenuta dei libri contabili, revisione contabile e consulenza tributaria, destinataria degli obblighi antiriciclaggio, avverso il provvedimento con cui l’autorità lettone competente l’aveva condannata al pagamento di un’ammenda di euro 3 000 per la violazione degli obblighi di adeguata verifica nei confronti di due clienti, la fondazione O. e la R.C.

Secondo l’autorità amministrativa nazionale, il soggetto obbligato avrebbe omesso di applicare nei confronti delle due clienti misure rafforzate di adeguata verifica, richieste dall’alto livello di rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo da cui risultavano caratterizzate. Nello specifico, rilevava che la fondazione O., in quanto organizzazione non governativa, era particolarmente esposta ai suddetti rischi, come evidenziato da un rapporto nazionale; inoltre, uno dei dipendenti della fondazione era un cittadino di un paese terzo ad alto rischio di corruzione (nella specie, il soggetto era cittadino della Federazione russa). In relazione all’altra cliente, la R.C., l’amministrazione constatava che essa aveva effettuato operazioni finanziarie con una società detenuta in maggioranza da una società stabilita nella Federazione russa, di cui il soggetto obbligato non aveva fornito il relativo contratto.

L’autorità amministrativa lettone pubblicava sul proprio sito internet le informazioni relative alle violazioni commesse dal soggetto obbligato.

Il destinatario del provvedimento, confermato in sede amministrativa, adìva il Tribunale amministrativo distrettuale della Lettonia, giudice competente a decidere la controversia. Il giudice nazionale procedeva dunque a sospendere il procedimento ed a sottoporre alla Corte di giustizia Ue le seguenti questioni pregiudiziali:

  • Se l’articolo 18, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2015/849, in combinato disposto con l’allegato III, punto 3, lettera b), della medesima, debba essere interpretato nel senso che dette disposizioni i) impongono automaticamente che il prestatore di servizi esterni di tenuta dei libri contabili adotti misure rafforzate di adeguata verifica della clientela in considerazione del fatto che il cliente è un’organizzazione non governativa e che il soggetto autorizzato e dipendente del cliente è un cittadino di un paese terzo ad alto rischio di corruzione, nella fattispecie la Federazione russa, con permesso di soggiorno in Lettonia, e ii) impongono automaticamente che si assegni a tale cliente un grado di rischio più elevato.
  • In caso di risposta affermativa alla questione precedente, se la citata interpretazione dell’articolo 18, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2015/849 possa considerarsi proporzionata e, pertanto, conforme all’articolo 5, paragrafo 4, primo comma, TUE.
  • Se l’articolo 18 della direttiva 2015/849, in combinato disposto con l’allegato III, punto 3, lettera b), della medesima, debba essere interpretato nel senso che esso prevede un obbligo automatico di adottare misure rafforzate di adeguata verifica della clientela in tutti i casi in cui un partner commerciale del cliente, ma non il cliente stesso, sia collegato in qualche modo a un paese terzo ad alto grado di corruzione, nella fattispecie la Federazione russa.
  • Se l’articolo 13, paragrafo 1, lettere c) e d), della direttiva 2015/849 debba essere interpretato nel senso che queste ultime prevedono che il soggetto obbligato, nell’adottare misure di adeguata verifica della clientela, debba ottenere dal cliente una copia del contratto concluso tra detto cliente e un terzo e se, pertanto, si ritiene che l’esame in situ di tale contratto sia insufficiente.
  • Se l’articolo 14, paragrafo 5, della direttiva 2015/849 debba essere interpretato nel senso che il soggetto obbligato debba applicare misure di adeguata verifica nei confronti dei clienti commerciali esistenti, anche nel caso in cui non vengano individuate modifiche significative della situazione del cliente e non sia scaduto il periodo stabilito dall’autorità competente degli Stati membri per adottare nuove misure di controllo e se tale obbligo si applichi unicamente nei confronti di clienti ai quali viene attribuito un rischio alto.
  • Se l’articolo 60, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2015/849 debba essere interpretato nel senso che, nel pubblicare informazioni relative a una decisione che impone una sanzione o una misura amministrativa per violazione delle disposizioni nazionali di recepimento di detta direttiva, l’autorità competente abbia l’obbligo di garantire l’esatta conformità delle informazioni pubblicate con le informazioni contenute nella decisione.

Nell’esaminare congiuntamente la prima e la terza questione, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha ricordato che l’obiettivo principale della direttiva 2015/849 (c.d. quarta direttiva antiriciclaggio) consiste nella prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, attraverso la previsione di un quadro normativo europeo che, realizzando un’armonizzazione minima fra gli Stati membri, mira a stabilire un insieme di misure preventive e dissuasive che consentano di contrastare efficacemente il fenomeno.

Uno dei cardini della disciplina è rappresentato dal principio dell’approccio basato sul rischio. Nell’ambito del sistema istituito dalla quarta direttiva antiriciclaggio, l’approccio basato sul rischio presuppone una valutazione del rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo effettuata su tre livelli: a livello dell’Unione europea con la valutazione sovranazionale dei rischi adottata dalla Commissione, a livello di ciascuno Stato membro con la valutazione nazionale dei rischi e, infine, a livello di ciascun soggetto obbligato. Tale valutazione dei rischi, sottolinea la Corte, è un prerequisito per l’adozione da parte dei soggetti obbligati di misure di adeguata verifica della clientela.

In particolare, la quarta direttiva antiriciclaggio prevede tre tipi di misure di adeguata verifica: misure normali (o ordinarie), misure semplificate e misure rafforzate.

L’art. 18, par. 1, della direttiva 2015/849 menziona determinate situazioni che presentano un rischio più elevato di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo, rispetto alle quali gli Stati membri chiedono ai soggetti obbligati di applicare misure rafforzate.

La Corte afferma, quindi, che tali misure rafforzate devono trovare applicazione: i) nelle ipotesi in cui ricorrano le situazioni di rischio elevato indicate dalla direttiva; ii) nell’ambito di rapporti con persone fisiche o entità giuridiche che hanno sede nei paesi terzi individuati dalla Commissione come paesi terzi a rischio elevato; iii) in occasione di altre situazioni a rischio, come individuate dagli Stati membri nonché, in osservanza ai principi di approccio basato sul rischio e proporzionalità, dallo stesso soggetto obbligato.

Di conseguenza, al di fuori delle ipotesi sub i) e ii), l’applicazione delle misure rafforzate di adeguata verifica della clientela presuppone l’individuazione di situazioni di rischio elevato da parte dello Stato membro, oppure da parte dello stesso soggetto obbligato.

Secondo la Corte, al di fuori di queste situazioni specifiche, l’assegnazione di un livello di rischio più elevato ad un cliente e, di conseguenza, l’adozione di misure rafforzate di adeguata verifica nei confronti di quest’ultimo non sono automatiche.

Ebbene, nel caso di specie, le due clienti del soggetto obbligato, la fondazione O. e la R.C., non rientravano nelle ipotesi di rischio elevato previste dalla direttiva 2015/849, né la Federazione russa figura tra i paesi ad alto rischio individuati dalla Commissione (regolamento delegato 2016/1675, che integra la direttiva 2015/849).

Alla stregua di tali considerazioni, la Corte ha affermato che l’articolo 18, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2015/849, in combinato disposto con il punto 3, lettera b), dell’allegato III della medesima, deve essere interpretato nel senso che esso non impone a un soggetto obbligato di assegnare automaticamente un livello di rischio elevato ad un cliente e, pertanto, di adottare misure rafforzate di adeguata verifica nei confronti di tale cliente per il solo fatto che quest’ultimo sia una O., che uno dei dipendenti di detto cliente sia cittadino di un paese terzo ad alto rischio di corruzione o che un partner commerciale dello stesso cliente, ma non il cliente stesso, sia collegato a tale paese terzo.

Va tuttavia osservato che, come rilevato dallo stesso giudice del rinvio, l’art. 5 della direttiva 2015/849 prevede che uno Stato membro possa adottare disposizioni più rigorose volte a prevenire il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo nel caso in cui, secondo tale Stato membro, sussistano fattori di rischio. Si tratta quindi di chiarire se l’operatività caratterizzante le due società clienti, la fondazione O. e la R.C., possano rientrare nelle “altre situazioni che presentano rischi più elevati individuati dagli Stati membri o dai soggetti obbligati” di cui all’art. 18, pra. 1, della direttiva 2015/849.

Ai sensi dei paragrafi 1 e 3 del menzionato articolo 18, gli Stati membri e i soggetti obbligati, nella valutazione dei rischi, devono tener conto devono tener conto almeno dei fattori e delle tipologie indicative di situazioni potenzialmente ad alto rischio di cui all’allegato III della direttiva, in cui figurano, in particolare, i fattori di rischio relativi alla clientela, alle operazioni e all’area geografica.

Gli Stati membri dispongono di un margine di discrezionalità significativo quanto al modo appropriato di attuare l’obbligo di prevedere misure rafforzate di adeguata verifica e di determinare sia le situazioni in cui esiste un siffatto rischio più elevato sia le misure di adeguata verifica. Infatti, la direttiva 2015/849 realizza un’armonizzazione minima, consentendo agli Stati membri di adottare (o mantenere in vigore) disposizioni più rigorose. Tuttavia, tali disposizioni devono perseguire l’obiettivo di rafforzare la lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, nel rispetto dei limiti imposti dal diritto dell’Unione europea, costituiti dai principi di legalità, certezza del diritto, proporzionalità e non discriminazione.

Pertanto, dalla lettura combinata dell’art. 5 e art. 18, par. 1 e 3, della direttiva 2015/849, emerge che gli Stati membri possono individuare altre situazioni che presentano un rischio elevato, nei limiti suddetti.

Posto che l’individuazione di tali situazioni rientri nella discrezionalità di ciascuno Stato membro, la Corte precisa che determinazione possa avvenire anche con atti che non devono necessariamente avere forza di legge, ma devono essere debitamente pubblicati.

Ebbene, con riferimento al caso di specie:

  • per quanto riguarda il fattore potenziale di rischio connesso alla forma giuridica del cliente, dalla decisione di rinvio risulta che l’articolo 6, paragrafo 1.2, della legge sulla prevenzione dispone che, tra le circostanze di cui il soggetto obbligato deve tenere conto nella valutazione dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo in relazione a un cliente figura “il rischio inerente alla forma giuridica del cliente”. Inoltre, il governo lettone ha rilevato, nelle sue osservazioni scritte, che un rapporto pubblicato nel 2019 dal servizio di prevenzione del riciclaggio di capitali avrebbe evidenziato che le organizzazioni non governative, come la cliente O., sono particolarmente vulnerabili al riciclaggio di capitali e al finanziamento del terrorismo, dato che il 94% di O. iscritte nel registro lettone delle imprese non avrebbe indicato il proprio settore di attività o avrebbe affermato di rientrare nella categoria denominata “associazione o fondazione non classificata altrove”, da cui si potrebbe dedurre che la forma giuridica della O. dovrebbe essere considerata un fattore potenziale di rischio elevato nel contesto della valutazione dei rischi;
  • per quanto concerne il fattore potenziale di rischio connesso all’esistenza di un legame tra il cliente di un soggetto obbligato e la Federazione russa, come sottolineato dal governo lettone nelle sue osservazioni scritte e in udienza, da un rapporto nazionale pubblicato sul sito internet dell’autorità amministrativa nazionale competente in materia antiriciclaggio, nonché dagli orientamenti pubblicati risulta che, a causa della sua prossimità geografica con tale paese terzo e dei suoi importanti rapporti economici con quest’ultimo, la Lettonia è esposta, in pratica, al rischio che la sua economia venga utilizzata per il riciclaggio di capitali provenienti da detto paese terzo, che T.I. considera ad alto rischio di corruzione.

La Corte rammenta che conformemente all’allegato III, punto 3, lettera b), della direttiva 2015/849, tra i fattori geografici indicativi di un rischio potenzialmente più elevato rientra il fatto che il paese in questione sia valutato da fonti credibili come un paese che presenta livelli significativi di corruzione o di altra attività criminosa.

Inoltre, l’allegato III, punto 3, lettera b), della direttiva 2015/849 non distingue a seconda che il fattore di rischio geografico ivi menzionato riguardi il cliente o i partner commerciali di quest’ultimo. Da una lettura combinata dell’articolo 8, paragrafo 1, dell’articolo 18, paragrafo 2, nonché dell’allegato III di tale direttiva emerge che, nella valutazione dei rischi che sono tenuti ad effettuare, i soggetti obbligati devono tener conto, in particolare, dei fattori di rischio relativi alle operazioni dei loro clienti.

La Corte quindi chiarisce che la circostanza che il cliente di un soggetto obbligato effettui operazioni che comportano collegamenti con un paese terzo ad alto rischio di corruzione può essere considerata, ai sensi della direttiva 2015/849, un fattore indicativo di un rischio geografico potenzialmente più elevato.

Tuttavia, il semplice fatto che un dipendente del cliente, che non sia il beneficiario effettivo di quest’ultimo e non abbia una funzione all’interno di detto cliente che gli consenta di svolgere attività potenzialmente connesse ad attività di riciclaggio di capitali, sia cittadino di un paese terzo ad alto rischio di corruzione non sembra caratterizzare una situazione tale da comportare un rischio potenzialmente più elevato di riciclaggio di capitali o di finanziamento del terrorismo. Il principio di proporzionalità richiede che solo le operazioni commerciali di una certa importanza o complessità od insolite concluse dal cliente del soggetto obbligato con un partner commerciale stabilito in un paese terzo ad alto rischio di corruzione possano essere considerate fattori indicativi di un rischio geografico potenzialmente più elevato di cui i soggetti obbligati devono tener conto nella loro valutazione dei rischi da effettuare in relazione alla clientela.

In conclusione, la Corte ha affermato che l’articolo 18, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2015/849, in combinato disposto con l’articolo 5 e l’allegato III della medesima, non osta a che uno Stato membro individui altri fattori di rischio potenzialmente più elevati di cui i soggetti obbligati devono tener conto nella loro valutazione dei rischi da effettuare in relazione alla clientela, che possono essere connessi alla forma giuridica di un cliente, come quella di una organizzazione non governativa, o al legame del cliente o del partner commerciale di quest’ultimo con un paese terzo ad alto rischio di corruzione, purché tali fattori siano previsti dall’ordinamento giuridico di tale Stato membro, siano stati debitamente pubblicati e siano conformi al diritto dell’Unione e, in particolare, ai principi di proporzionalità e di non discriminazione.

Nel caso di specie, sottolinea la Corte che, nel diritto lettone, la forma giuridica di una organizzazione non governativa e l’esistenza di un legame tra il cliente di un soggetto obbligato e la Federazione russa sembrano essere considerate fattori di rischio potenziale più elevato, di cui il soggetto obbligato deve tener conto nell’analisi del rischio che è tenuto ad effettuare nei confronti della clientela.

Alla stregua di tali considerazioni, con riferimento alla prima e alla terza questione pregiudiziale sollevata dal giudice nazionale, la Corte ha chiarito che l’articolo 18, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2015/849, in combinato disposto con l’articolo 5 e l’allegato III, punto 3, lettera b), della medesima, deve essere interpretato nel senso che esso non impone ad un soggetto obbligato di assegnare automaticamente un livello di rischio elevato ad un cliente e, pertanto, di adottare misure rafforzate di adeguata verifica nei confronti di tale cliente per il solo fatto che quest’ultimo sia una organizzazione non governativa, che uno dei dipendenti di detto cliente sia cittadino di un paese terzo ad alto rischio di corruzione o che un partner commerciale dello stesso cliente, ma non il cliente stesso, sia legato a tale paese terzo. Tuttavia, uno Stato membro può identificare nel diritto nazionale tali circostanze come fattori indicativi di un rischio potenzialmente più elevato di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, di cui i soggetti obbligati devono tenere conto nel valutare i rischi in relazione alla loro clientela, purché tali fattori siano conformi al diritto dell’Unione e, in particolare, ai principi di proporzionalità e di non discriminazione.

Atteso che la seconda questione pregiudiziale è stata posta dal giudice nazionale in caso di risposta affermativa alla prima questione, che invece è stata risolta in senso negativo, la Corte passa a considerare la quarta questione pregiudiziale (v. sub 4)).

Nel rispondere alla domanda del giudice del rinvio, che chiedeva se l’articolo 13, paragrafo 1, lettere c) e d), della direttiva 2015/849 debba essere interpretato nel senso che impone al soggetto obbligato, quando quest’ultimo adotta misure di adeguata verifica della clientela, di ottenere dal cliente interessato una copia del contratto concluso tra tale cliente e un terzo, la Corte ha rammentato che i soggetti obbligati hanno l’obbligo di rispettare determinati requisiti probatori e documentali nei confronti delle autorità nazionali competenti.

In particolare, l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2015/849 prevede che le valutazioni dei rischi incombenti ai soggetti obbligati devono essere documentate, aggiornate e messe a disposizione delle autorità competenti e degli organismi di autoregolamentazione interessati. In proposito, il considerando 22 della stessa direttiva afferma che l’approccio basato sui rischi implica il ricorso all’adozione di decisioni basate su prove, in modo da affrontare più efficacemente i rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo che minacciano l’Unione e i soggetti che vi operano.

L’articolo 13, paragrafo 4, della direttiva 2015/849, prevede che i soggetti obbligati debbano essere in grado di dimostrare alle autorità competenti e agli organismi di regolamentazione che le misure di adeguata verifica che essi applicano siano appropriate in relazione ai rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo che sono stati individuati.

L’articolo 40, paragrafo 1, primo comma, lettera a), della medesima direttiva impone ai soggetti obbligati di conservare, per un periodo di cinque anni dalla cessazione del rapporto d’affari con il cliente, una copia dei documenti e delle informazioni necessari per conformarsi agli obblighi di adeguata verifica della clientela di cui al capo II della suddetta direttiva.

Durante il controllo effettuato dall’autorità nazionale competente, spetta dunque al soggetto obbligato fornire una documentazione adeguata che dimostri che esso ha analizzato tale operazione e ne ha tenuto debitamente conto nel giungere alle sue conclusioni in merito al livello di rischio presentato da tale cliente.

Ciò posto, la Corte sottolinea che l’obbligo di prova e di documentazione imposto ai soggetti obbligati non implica necessariamente la produzione fisica della copia di un contratto, in quanto esistono altri mezzi di prova adeguati, come la produzione di relazioni di valutazione del contratto contenenti le informazioni necessarie per valutare il rischio associato all’operazione e al rapporto commerciale in questione.

Alla luce di tali considerazioni, con riferimento alla quarta questione pregiudiziale, la Corte ha affermato che l’articolo 13, paragrafo 1, lettere c) e d), della direttiva 2015/849, in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 2, con l’articolo 13, paragrafo 4, e con l’articolo 40, paragrafo 1, primo comma, lettera a), di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che non impone al soggetto obbligato, quando quest’ultimo adotta misure di adeguata verifica della clientela, di ottenere dal cliente in questione una copia del contratto concluso tra tale cliente e un terzo, purché tale soggetto possa fornire all’autorità nazionale competente altri documenti appropriati comprovanti, da un lato, che esso ha analizzato l’operazione e il rapporto d’affari conclusi tra tale cliente e detto terzo e, dall’altro, che ne ha tenuto debitamente conto per adottare le necessarie misure di adeguata verifica in relazione ai rischi individuati di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.

Con la quinta questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiedeva se, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 5, della direttiva 2015/849, il soggetto obbligato è tenuto ad applicare misure di adeguata verifica dei clienti esistenti anche quando non è stato possibile individuare alcun cambiamento nella situazione di tale cliente e non è ancora scaduto il termine fissato dal diritto nazionale per procedere ad una nuova valutazione del rischio e se tale obbligo si applichi ai soli clienti ad alto rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.

La Corte osserva che, dalla formulazione dell’art. 14, paragrafo 5, della direttiva 2015/849, si evince che i soggetti obbligati sono tenuti, sul fondamento di un approccio basato sui rischi, ad applicare misure di adeguata verifica non soltanto nei confronti dei loro nuovi clienti, ma anche, qualora sia opportuno, nei confronti dei loro clienti esistenti. Detta disposizione precisa che uno di questi possibili momenti opportuni è quello in cui si verificano modifiche significative della situazione del cliente in questione. Inoltre, la stessa disposizione non limita detto obbligo incombente ai soggetti obbligati ai soli clienti ai quali sia stato assegnato un livello di rischio elevato.

Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2015/849, i soggetti obbligati devono, in particolare, tenere aggiornate le valutazioni dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo a cui sono esposti.

Dalla formulazione dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2015/849 emerge che i soggetti obbligati sono tenuti ad esercitare un controllo costante sui propri clienti e sulle operazioni da questi concluse. Ne consegue che, quando un soggetto obbligato viene a conoscenza di elementi pertinenti riguardanti uno dei suoi clienti esistenti, come operazioni commerciali, che possano incidere sulla valutazione del rischio effettuata nei confronti di tale cliente, esso è tenuto a considerare detti elementi e, ove opportuno, a rivedere l’analisi del rischio e, se del caso, il livello delle misure di adeguata verifica applicate a detto cliente.

Alla luce di tali considerazioni, con riferimento alla quinta questione pregiudiziale, la Corte ha statuito che l’articolo 14, paragrafo 5, della direttiva 2015/849, letto in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 2, della stessa, deve essere interpretato nel senso che i soggetti obbligati sono tenuti ad adottare, sulla base di una valutazione dei rischi aggiornata, misure di adeguata verifica, se del caso di natura rafforzata, nei confronti di un cliente esistente, qualora ciò appaia opportuno, in particolare in presenza di una modifica significativa della situazione di tale cliente, e ciò indipendentemente dal fatto che il termine massimo fissato dal diritto nazionale per effettuare una nuova valutazione del rischio relativo a detto cliente non sia ancora scaduto. Tale obbligo non si applica soltanto ai clienti che presentano un rischio elevato di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.

Con la sesta questione pregiudiziale, il giudice a quo chuedeva se l’articolo 60, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2015/849 debba essere interpretato nel senso che, al momento della pubblicazione di una decisione che impone sanzioni per violazione delle disposizioni nazionali di recepimento di tale direttiva, l’autorità nazionale competente ha l’obbligo di garantire la conformità delle informazioni pubblicate con le informazioni contenute in detta decisione.

Dopo aver superato le eccezioni sollevate dal governo lettone, la Corte ha precisato che dall’ordinanza di rinvio emerge che la Repubblica di Lettonia ha recepito nel diritto nazionale l’articolo 60, paragrafo 2, della direttiva 2015/849 e che essa, pertanto, autorizza la pubblicazione di decisioni avverso le quali è stato presentato ricorso.

Prevedendo che le autorità competenti pubblichino immediatamente sul loro sito internet ufficiale “anche” l’informazione secondo cui la decisione in questione è oggetto di ricorso, detta disposizione precisa che tali autorità devono pubblicare questa informazione oltre a quelle elencate nel paragrafo 1 del medesimo articolo 60, il quale stabilisce che “[la] pubblicazione contiene quanto meno le informazioni sul tipo e sulla natura della violazione e l’identità delle persone responsabili”.

Riguardo al contenuto della pubblicazione relativa alle decisioni che costituiscono oggetto di ricorso, si deve rilevare che, conformemente ad una lettura combinata dei paragrafi 1 e 2 dell’articolo 60 della direttiva 2015/849, solo le informazioni contenute in tali decisioni sono pubblicate sul sito internet dell’autorità nazionale competente. Di conseguenza, sono escluse dalla pubblicazione le informazioni non conformi a quelle contenute nelle suddette decisioni.

Alla stregua di tali considerazioni, in relazione alla sesta ed ultima questione pregiudiziale sollevata dal giudice lettone, la Corte ha affermato che l’articolo 60, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2015/849 deve essere interpretato nel senso che, al momento della pubblicazione di una decisione che impone sanzioni per violazione delle disposizioni nazionali di recepimento di tale direttiva, l’autorità nazionale competente ha l’obbligo di garantire l’esatta conformità delle informazioni pubblicate con le informazioni contenute in detta decisione.

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